E’ nel buio della notte che Munira, scavando in silenzio, ricerca le ossa del figlio ucciso nel genocidio di Srebrenica. A volte, ancora oggi, in mezzo a un campo di patate, queste vengono fuori come oggetti misteriosi a cui ogni madre si lega per trovare finalmente pace, nell’orrore infinito di una guerra che, per quanto finita, continua nei cuori e negli occhi dei sopravvissuti. Aida è stata stuprata e d’allora non può più diventare madre, Hajra, sfidando le mine, ha ritrovato un teschio e d’allora crede che appartenga al figlio. Queste sono solo alcune delle rughe di Srebrenica che compongono il forte panorama umano della maternità di un posto martoriato, in cui oltre i vincoli della scienza e della medicina, madri anziane e ferite si mettono continuamente in cammino con la speranza che anche un minimo frammento di ciò che hanno creato possa ridare loro il senso della vita